Tanto si è parlato di questa bellissima opera del Guercino, in particolare legandola alla storia di Rennes le Château ed alle versioni dell’altrettanto famoso pittore francese Nicolas Poussin.

Tanti anni fa lessi il libro “Il Santo Graal” di Baigent, Leigh e Lincoln, dove questi fantasiosi autori ne parlavano legandolo alla leggenda per la quale Maria Maddalena fosse sbarcata nella regione francese della Linguadoca insieme alle spoglie di Gesù Cristo il quale avrebbe  trovato eterna dimora in un territorio vicino Rennes le Château e Carcassonne. Da qui poi sarebbe derivata, attraverso la linea di sangue di Cristo (Sang Real —> San Graal) , tramandata dalla figlia avuta con Maria Maddalena, la casata dei Re Merovingi, i Re taumaturghi che la chiesa avrebbe in futuro tradito per poter appropriarsi del potere temporale.

Il quadro sarebbe una indicazione del posto in cui ci sono i resti di Cristo e l’Abbate Bérenger Saunière, avendone ritrovato la conoscenza, diventò un uomo ricchissimo, sfruttando questa conoscenza per restaurare a proprio modo la chiesetta di Rennes le Château.

Ovviamente a noi non interessa molto quest’aspetto che ci sembra puramente fantasioso e sfruttato per creare quell’alone di mistero che attira gli studiosi razionalisti di questi nefasti tempi moderni e soprattutto per far vendere il libro.

Vogliamo dunque proporre una nuova spiegazione che deriva semplicemente dal linguaggio simbolico che ogni artista e soprattutto ogni Iniziato, dovrebbe possedere per poter rendere in termini comprensibili dei concetti che altrimenti si avrebbe difficoltà a spiegare.

Prima di tutto è necessario ricordare cosa sia l’Arcadia. Questa è una regione dell’antica Grecia nella quale si pensava vivessero le divinità. È pertanto una regione da assimilare alla Gerusalemme Celeste, all’Iperuranio di Platone, all’Eden e dunque a quello stato di piena realizzazione in cui l’uomo ritrova la “Parola” e quindi il colloquio con Dio.

I pastori  si trovano in questa regione celeste e pertanto rappresentano una parte dell’essere che può esistere oltre qualcosa. Questo qualcosa è rappresentato dal teschio sopra il sepolcro, simbolo di morte. Non si tratta però di una morte materiale, una morte per come profanamente noi la intendiamo. È una morte simbolica che perviene dopo l’assopimento dei sensi.

Dunque, è il corpo che simbolicamente muore a sé stesso per permettere ai pastori di poter interagire in Arcadia.

Questi pastori vengono rappresentati nell’atto di osservazione del teschio. Ciò è molto importante poiché è una chiara indicazione sul metodo utilizzato per raggiungere questa morte: l’auto-osservazione.

Tra l’altro, è da notare l’abbigliamento dei due protagonisti: bianco e rosso, ad indicare le due fasi alchemiche successive alla Nigredo appena compiuta; quindi, abbiamo una Albedo rappresentata dal pastore giovane e con la camicia bianca ed una Rubedo rappresentata dal pastore adulto, la barba ed un berretto rosso. Inoltre, questi rappresentano l’anima (bianco) e lo spirito (rosso), nella tripartizione tipicamente cristiana dell’uomo dove il corpo è, così come detto precedentemente, morto.

Vicino al teschio, simbolo della morte e della Vanitas, ovvero dell’impermanenza della vita umana, vediamo un topo e questo è un chiaro riferimento alle passioni e pulsioni materiali che condizionano l’uomo, così come rappresentato dal topo dominato dal dio Ganesh, il dio elefante.

Sul teschio una mosca, a rappresentare la chiara convinzione che la materialità è la parte più sporca e rozza dell’essere umano.

Ma perché dei pastori? Perché sono la rappresentazione di chi è capace di governare le proprie passioni e legarle, da cui “pecora” = legare.

Il Pastore, così come soprattutto nella simbologia cristiana, è colui che governa il gregge ed il Logos/Cristo ne è la massima rappresentazione.

I pastori d’Arcadia sono dunque la parte più elevata dell’uomo, come scritto prima, l’anima e lo spirito che governano l’intero essere uomo.

Cosa voleva dirci il Guercino in tutto questo?

È indubbiamente un messaggio ed è l’espressione di una esperienza possibilmente vissuta da lui o da chi ha commissionato l’opera. Questo messaggio è che, riuscendo a pervenire all’assopimento dei sensi attraverso l’auto-osservazione del proprio corpo, è possibile per l’Io raggiungere le regioni celesti dell’Arcadia, dove l’uomo realizza pienamente il suo essere e perviene alla Conoscenza, alla Gnosi.

Et in Arcadia Ego diventa dunque l’affermazione “anche in Arcadia, Io e d’altronde non è niente di nuovo se si considera la dottrina mariana dell’assunzione. Infatti, Maria non è altro che la mente dell’uomo purificata, ovvero l’Io perfetto, che raggiunge il Paradiso.

Sarà vero? Non ci resta che provare!


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One Reply to “Et in Arcadia Ego”

  1. Mi sovviene un’altra mosca posta su un cartiglio che a causa sua non si riesce a leggere ciò che vi scritto. Questa scena fa parte di un famoso dipinto “Ritratto di Luca Pacioli”, conservato nella Pinacoteca del Museo di Capodimonte di Napoli e raffigurante il frate matematico autore della “Summa de Arithmetica” e del “De Divina Proportione”.
    Ecco un’altra interpretazione sul teschio ritenuto la materialità, la parte più sporca e rozza dell’essere umano, e null’altro si ravvisa nel teschio a differenza del resto scenico del dipinto del Guercino.
    A causa della distrazione, dovuta al noioso insetto, si trascura la parte del dipinto più importante nel processo della Grande Opera dell’alchimia, il tema del Caput Mortuum.
    Il caput Mortuum risale al Sale uno dei Tre Principi, presenti sia nel cosmo sia nell’uomo: una triade mistica, composta dal sale, dal mercurio e dallo zolfo. Benché si presenti come una polvere bianca, inerte, il sale è uno dei grandi misteri e simboli dell’iniziazione. Nella tradizione alchemica esso era l’emblema di un patto sacro che non poteva mai essere rescisso, simile a quello che il neofita stringeva con la sua scuola o il suo maestro.
    C’è forse un nesso fra il sale e la morte?
    In numerosi testi alchemici il sale rappresenta il processo mentale, che è un processo di morte. Il sale è il residuo dell’attività spirituale che avviene nella nostra testa: come nelle triade alchemica, è la scoria che resta quando la vita è volata via, è il cranio, il caput mortuum, la polvere bianca residua dopo l’estrazione dell’oro. È la cenere del pensiero.
    Quando la testa – o la sua attività spirituale che chiamiamo mente – raggiunge il punto in cui non è più in grado di capire, in cui l’ordine dell’universo sembra frantumarsi, allora produce lacrime salate.
    Il Caput Mortuum, dopo la Separazione, si presenta come terra nera e “diseredata” che bisogna ben guardarsi dal gettare via.
    Sono scorie da cui si ottiene un Terzo Sale, fondamentale per la Terza Opera. È il principio Corpo, che andrà a costituire uno dei componenti dell’uovo filosofale

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