IV – LA CAVALLERIA SAUROCTONA
La figura del Cavaliere sauroctono risale alle origini della tradizione cristiana con San Giorgio, martirizzato nel 303 sotto Diocleziano a Lydda (ora si trova in Israele). San Giorgio è ricordato per aver ucciso un Drago nella città di Silene in Lidia, al quale periodicamente andavano offerte vittime umane, finché toccò alla figlia del re che il cavaliere Santo salvò, uccidendo il Drago. San Giorgio ha il suo archetipo e giustificazione teologica nell’Arcangelo Michele che uccide il Drago antico. Il Cavaliere sauroctono trova i suoi numerosi precedenti nella tradizione pagana e nella cultura indoeuropea precristiana, come abbiamo visto.
Dopo San Giorgio, una delle figure più importanti della Cavalleria che stiamo analizzando è l’eremita Guglielmo di Malavalle (+1157), di cui non sappiamo la coincidenza o meno con Guglielmo X (nato nel 1099), Duca di Aquitania e di Poitou, Conte di Alvernia e figlio di quel Guglielmo IX che era stato il primo dei trovatori. Guglielmo di Malavalle aveva il suo romitaggio tra Tirli e Castiglion della Pescaia (Grosseto). Nella chiesa di Buriano, dove è Santo patrono, non lontano da dove aveva il romitorio, si conserva tuttora, oltre ai resti del suo corpo, la costola del Drago che Guglielmo uccise. Tale Drago, secondo la leggenda, divorava i bambini di quella località. Ne nacque l’ordine religioso dei “guglielmiti” che ebbe una rapida diffusione in nord Europa fino a interrompersi bruscamente nel 1256
La Cavalleria profana, a cui il De laude novae militiae cistercense contrappone la Cavalleria del Tempio, è la Cavalleria auspicata e protetta dagli Imperatori Svevi. Fu Federico I a fare pressioni per la canonizzazione, nel 1185 della figura di San Galgano, che fu Santo eremita nel territorio di Chiusdino, in provincia di Siena (il primo regolare processo di canonizzazione della Chiesa Cattolica); Enrico VI, nel 1191 prende sotto la sua protezione (30) i monaci di San Galgano (+1181), già fatto santo subito dopo la morte dalla voce popolare, a causa dei tanti miracoli ricevuti. Questa Cavalleria è nata per ispirazione di San Michele Arcangelo, l’uccisore del Drago che chiamò a sé, nella sua missione di cavaliere, Galgano (ut militem faceret). Leggiamo un passo del processo di beatificazione: “Dionisia, madre del Beato Galgano, sotto giuramento raccontò che suo figlio Galgano le aveva rivelato, prima della conversione, le visioni da lui avute. Nella prima di queste, San Michele Arcangelo lo aveva chiesto a sua madre, per farne un soldato… Noi, infatti, io vedova e tu orfano, saremo affidati a San Michele, al quale tuo padre era molto devoto” (31). Si tratta di un ideale di Cavalleria che va da San Giorgio, attraverso i Longobardi (devoti di San Michele Arcangelo) fino a Guglielmo di Malavalle. Una Cavalleria che confina e sconfina con un monachesimo eremitico, di cui condivide il principio ascetico: l’uccisione del Drago. Nella Leggenda del Beato Galgano, di Rolando Pisano (32), si racconta che San Galgano: “con molte preghiere esortava san Guglielmo, che a lui aveva ispirato tanta pietà, di aiutarlo a pensare più di ogni altra cosa alla cura della propria anima”.
Il fatto che Federico I Barbarossa si sia dovuto imporre per ottenere la beatificazione di San Galgano, minacciando di presenziare lui stesso al processo e infine imponendo il cardinale Conrad di Wittelsbach come presidente del tribunale di canonizzazione, la dice lunga su quanto fossero forti nella Chiesa di allora le componenti che oggi diremmo “moderniste”, volte a promuovere una Cavalleria crociata e politica e, nello stesso tempo, protese a bocciare ed insabbiare qualsiasi forma diversa di Cavalleria, specie quella apolitica e ascetica del tipo di Guglielmo di Malavalle e di San Galgano. Che una, se non la principale, di queste forze, contro cui dovette lottare lo stesso Imperatore, sia stato l’Ordine dei Cistercensi, appare abbastanza chiaro; il loro ideale di cavalleria era quello templare. Quando i Cistercensi si vollero appropriare della tradizione galganiana, dei suoi luoghi, delle sue vicende biografiche, ecco che molti eremiti galganiani si rifiutarono di confluire nell’Ordine Cistercense e ci fu una vera diaspora (33). Per i galganiani la vera militia Christi è quella che tiene infissa la spada nella roccia e ne trasforma l’elsa in croce, mentre i Cistercensi hanno in mente una militia Christi armata, crociata e geopolitica; questa è per loro la nova militia nella quale ambivano ad arruolare Galgano e i suoi seguaci.
A questa cavalleria sauroctona non possiamo non ricondurre la figura di Giovanna d’Arco, la quale al processo di Rouen di martedì 27 febbraio 1431, alla domanda dell’inquisitore di quale voce celeste l’avesse comandata, rispose che era stato lo stesso San Michele Arcangelo, che ella vide in persona davanti ai suoi occhi, a darle il mandato di guerra contro gli inglesi. Infatti, vediamo nella chiesa di Nostra Signora dei Miracoli ad Orléans, dove Giovanna pregò prima di liberare la città manu militari dall’invasore inglese, che la Santa, sulla vetrata, sta accanto alla Madonna assieme a San Michele, il quale guida in terra la mano e la milizia che uccide il Drago in ogni sua forma, anche politica e dinastica.
V – LA BATTAGLIA PER LA CAVALLERIA NEI SEC. XII -XIII
Tra fine XII e inizio XIII secolo si è combattuta in Europa una battaglia per la Cavalleria, in cui si doveva stabilire in che consistesse l’essenza di questo fenomeno sociale, culturale e politico. Questo dibattito va dall’opera cistercense L’elogio della Nuova Cavalleria, tra 1128 e1136, fino allo scritto di Raimondo Lullo, Il libro dell’Ordine della Cavalleria, scritto tra il 1274 e il 1276. Le forze giovani e più attive della società sono attratte e vogliono confluire in questo ceto sociale-militare, che dunque dovrà avere un peso nella civiltà europea medievale. Il fenomeno era divenuto preoccupante per le sue potenzialità di destabilizzazione dell’ordine sociale e politico (militia damnosa). Al punto che si rendeva necessario imbrigliarlo e orientarlo sapientemente, proprio al fine della stabilità e dell’ordine. Nell’uccisione del Drago, la Cavalleria ha sempre trovato l’essenza del suo ruolo che la pone così al confine tra l’ordine militare e l’ordine religioso. Ed è a questo tipo di Cavalleria che è andato l’appoggio e la protezione degli Imperatori svevi, a cominciare da Federico I Barbarossa.
Ma negli stessi anni, forze non meglio identificate (e che gli storici si mostrano svogliati a identificare), propongono e infine impongono un diverso modello di Cavalleria che non ha più nell’uccisione del Drago il suo “mito” fondante, bensì essa lo trova nella “cerca del Graal”. Si tratta di una cavalleria la cui immagine viene elaborata e promossa da Crétien de Troyes, prima, (Perceval le Gallois ou le Conte du Graal, 1190, opera incompiuta), poi da Robert de Boron (Roman de l’estoire dou Saint Graal, tra 1190 e 1199), dal Perlesvaus di autore anonimo (1190-1212) e infine (ma non ultimo) da Wolfram von Eschenbach (Parzival , 1210), che propone una cavalleria molto orientaleggiante e gerosolimitana, non tanto volta a costruire in Europa la nuova Civiltà, ma che ha posto nell’Oriente Medio il suo obiettivo spirituale e anche geografico. Lì si trova il Graal. L’ accesso al Graal non richiede l’uccisione del Drago, perché non c’è alcun Drago che blocchi l’accesso a questo tesoro. Di che si tratta? Di una cavalleria Ogm, a cui viene affidato il compito anche politico di riconquistare Gerusalemme. Per fare cosa e da parte di chi? Evidentemente per riedificare il Tempio da parte di chi lo aveva avuto distrutto. Non a caso Wolfram dice espressamente che i custodi del Graal, del castello del Graal, sono i Templari (34), un ordine cavalleresco eminentemente gerosolimitano (Milites Templi Ierosolimitani, fondato nel 1118), a cui è andata la benedizione di Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell’Ordine Cistercense, che scrive le regole di quella che è secondo lui la vera Cavalleria (De laude novae militiae, tra 1128 e1136, contrapponendo la Cavalleria del Tempio a quella profana). Per Bernardo, i Templari incarnano il modello della vera Cavalleria cristiana (Militia Christi) e nel 1128 a Troyes, alla corte del Conte di Champagne, ottengono il loro riconoscimento ufficiale con una Regola ispirata a quella dei Cistercensi. Sempre in ambiente cistercense compare un testo (La Queste du Saint Graal, intorno al 1220), per dire proprio che il Graal è il “mito” fondante e qualificante di questa nuova Cavalleria gerosolimitana che non guarda all’Europa, ma al Medio Oriente. Un fenomeno sociale che abbraccia le Crociate e che ha di mira il possesso di Gerusalemme. Parzival è un membro della famiglia d’Angiò (35) che aveva stretti legami coi Templari. Wolfram dice che la storia del Graal è stata, in ultima analisi, rivelata da un pagano, Flegetanis, di origini ebraiche (36). Ed è di discendenza ebraica il Perceval di Robert de Boron e il Perceval dell’anonimo Perlesvaus. La spada di Artù prende il nome da “Escalibor”, che è termine ebraico. E il mito del “cavaliere errante” della Tavola Rotonda si sovrappone e pare occultare il tema dell’”ebreo errante”. In questi romanzi si dà molta importanza alla razza, come nel Perlesvaus, e alla stirpe eletta (quella degna di stare sul trono). Lohengrin, il figlio di Parzival, deve mantenere la segretezza circa la sua razza, ecc. Si tratta, insomma, come potete vedere, di romanzi molto politici nei quali si cerca di individuare e legittimare certe stirpi a stare sul trono per diritto di sangue e non in quanto re elettivi, come era nel tradizionale mondo germanico. Crétien è legato alla corte del Conte di Champagne (dove era attivo un centro di studi cabalistici), a sua volta strettamente legato ai Templari attraverso i Cistercensi.
NOTE
(30) CANESTRELLI A., L’Abbazia di San Galgano, Firenze 1986, pag. 116.
(31) Sigismondo Tizio trascrive il testo del processo nel 1500 e fu reso pubblico da F. Schneider in “Analecta Toscana” IV 1914-1924, lo potete trovare in MOIRAGHI M., L’enigma di San Galgano, Milano 2003, pag. 189.
(32) MOIRAGHI M., L’enigma di San Galgano, cit. pag. 211.
(33) CARDINI F., San Galgano e la spada nella roccia, Siena 2000, pag. 33. Si veda, dello stesso autore: Alle radici della cavalleria medievale, Firenze 1997.
(34) VON ESCHENBACH W., Parzival, tr. it. Milano 1989, a cura di L. Mancinelli, 444 e 468.
(35) Ivi, 745,746, 760, 771.
(36) Ivi, 453, 454.