Se ogni mito è legato alla vita immaginaria dell’umanità, quello di Narciso afferma più di ogni altro una sorta di primato dell’immagine.

Vi rimando qui un’indagine fortemente autonoma, servendomi del dipinto di Caravaggio per esprimere, attraverso la mitologia, una visione attuale del meccanismo interpretativo del pensiero narcisistico.

Ritorno qui a parlare di specchio, di visione, di osservazione e di interpretazione perché forse il problema più grande per l’uomo è quello di riuscire a dare una forma ben strutturata di sé stessi senza l’utilizzo dei sensi e qui mi chiedo:

e se invece una forma non c’è?

E se invece il nostro vero io non vuole essere racchiuso in una “bella forma”, ma vuole solo “fare”?

Annebbiare il pensiero spicciolo e superficiale con l’idea di sé stessi, cercare continuamente approssimazioni, serve a crescere come uomini?

Tutte domande apparentemente ovvie, ma a causa delle nostre ondate emozionali, siamo continuamente distratti da ciò che conta.

Nelle Metamorfosi, Ovidio mostra Narciso innamorato della propria immagine riflessa nell’acqua lasciarsi morire poiché non può afferrare l’oggetto della sua passione. La storia continua, ma serve a spiegare come le passioni ed il riflesso di sé stesso, possono travolgere a tal punto da far annebbiare il vero io.

Il riflesso di sé stesso porta ad una riflessione che riconduce alla vita ed alla morte: nello stesso punto dove Narciso si lasca morire, nasce un fiore. Questo cambiamento, questa metamorfosi che elude la morte, segue una continuità tra le persone ed il mondo naturale (il fiore).

Il mito stesso è in generale una funzione di rispecchiamento; in esso riconosciamo il riflesso di noi stessi e pertanto, nel racconto di Narciso, per concludere, ci troviamo di fronte ad un mito che parla della funzione mitica in generale, della sua potenzialità formativa e costruttiva, ma anche distruttiva.

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One Reply to “Il Narciso di Caravaggio”

  1. Con un po’ di alchimia si riesce a rispondere al mistero del “lasciarsi morire” per far nascere un “fiore” di Narciso.
    Il “fiore” è l’uomo nuovo ed è spiegato in questo modo dalla «coniuctio oppositorum» alchemica di Cipriano Piccolpasso.
    Tutto è comprensibile, appunto, nella «coniunctio oppositorum» alchemica, ed è Cipriano Piccolpasso, a farcelo capire con “Li tre libri dell’arte del vasaio”, opera del 1500. Egli è stato anche architetto, storico, ceramista, e pittore di maioliche, italiano. Nel libro citato compare un’illustrazione in cui è rappresentata una colomba sormontata da una croce.
    Le sue zampe sono saldamente legate ad una grossa pietra e il tutto rappresenta il simbolo dell’unità della materia, la cui difficoltà del processo alchemico per ottenerla, trapela dal filatterio in cui vi è iscritta la parola IMPORTUNUM .
    La colomba, segno di sublimazione alchemica, rappresenta l’azione dello spirito sulla materia, un ruolo importante della seconda opera del Magistero Alchemico. Tuttavia il solido legame che la unisce alla pietra, lascia intendere che questa, nel trattenerla, incide nel processo con la sua azione specifica, la forza di gravità, propria della materia. È ben chiaro così che venendo meno questa forza, il prodotto della sublimazione s’invola, vanificando così il lavoro dell’alchimista, e questo non ha senso che avvenga.
    Ecco lo scopo del legame che unisce i due per l’argomentata coniunctio oppositorum che è l’unione fra i due.
    La croce, posta in alto dell’immagine indica l’atanor, ossia il crogiuolo (sinonimo di croce appunto), strumento dell’Arte del Fuoco, ovvero la Via Secca.
    Più da vicino la pietra e la colomba rappresentano lo solfo e mercurio alchemico (la Salamandra e la Remora) che si azzuffavano dilaniandosi.
    Questi due principi “abitano” il vaso alchemico e la lebbra che affligge la Materia Prima, più che identificarsi con il fisso o con il volatile, col corpo o con lo Spirito, risiede nella loro mancata integrazione, nella loro separazione. L’alchimista, quindi, non potendo rinunciare né all’uno né all’altro, deve riuscire ad amalgamare e fondere insieme Spirito e Corpo, realizzando la coniunctio oppositorum. Gli opposti (dell’uomo, ossia di Narciso) devono prima lottare divorarsi ed uccidersi a vicenda perché la loro unione possa realizzarsi. Questa operazione ha due aspetti, quello del costringere la terra corporea e pesante (dell’uomo, ossia di Narciso) ad elevarsi verso le regioni dello Spirito e quello consistente nell’obbligare lo Spirito ad abbandonare i “cieli filosofici”, ove può spaziare liberamente, costringendolo a discendere nelle regioni più pesanti e condizionate dai vincoli terrestri perché possa vivificare rivitalizzare e “rendere consapevole” il corpo.
    Ed ecco spiegata la forza di gravità nel legame della colomba con la pietra, che è artefice dell’unione forzata della terra col cielo, ovvero dell’uomo della materia che riceve in sé la luce spirituale che altrimenti mai l’avrebbe.
    Il “fiore”, ossia il nascituro, è diverso dai due che si sono uniti, ed è appunto l’Io di natura diversa disposto, appunto, a “fare” ciò che i due, cioè l’uomo Narciso, non farebbe mai.
    Gaetano Barbella

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