La ricerca del Sacro Graal
Una nuova era si affaccia all’esoterismo per svelare il mistero racchiuso nella ricerca del Graal, un Sacro contenitore, mistico oggetto di fede, ma anche pietra magica, tesoro di conoscenza, cuore dell’uomo: cosa sia il Santo Graal nessuno può saperlo. Esso sfugge all’intelletto, come solo il mistero sfugge. Molti sono coloro che ne hanno intrapreso la ricerca, sempre seguendo tracce labili, inafferrabili come l’incanto d’una leggenda al limitare del crepuscolo. Il Graal appartiene a una dimensione di confine tra il conoscibile e l’arcano, tra la materia e l’idea. Al pari di uno specchio, esso è mito che riflette la realtà, e in quanto racconto l’abbellisce, la distorce si che divenga all’uomo inaccessibile. “La ricerca del Santo Graal è la ricerca dei segreti di Dio, inconoscibili senza la grazia”, scrisse Etienne Gilson, esprimendone così l’essenza1.
Ma il Graal è semplicemente il “segreto” di un “contenitore” noto che, ad un tratto, si riversa nella nostra mente irrorandola, facendoci meravigliare e cambiare vita.
Così come avvenne a Paolo di Tarso.
L’evangelista Luca, una seconda volta narra in modo (quasi) uguale la “caduta di San Paolo” negli Atti degli Apostoli (22, 6-9): “verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Io risposi: «Chi sei, o Signore?». Mi disse: «Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti». Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava”.
Quella “voce” proveniva dal mondo astrale-mentale il cui linguaggio possiede differenti velocità molecolari, e la mente si esprime per simboli e per meccaniche che l’uomo non è abilitato a concepire, la sua mente razionale non l’accetta. Ed è la matematica a legiferare nelle espressioni della mentalità astrale-mentale per far configurare una realtà nuova che si intreccia con quella terrena. Essa è tale da poterla intravedere nella essenza vitale o al contrario decaduta, ed è dato al chiaroveggente il poterla percepire, ma non la meccanica che la informa.
È un nuovo modo di concepire l’esoterismo, in cui, il linguaggio nel mondo astrale- mentale, il luogo – per esempio – dove si svolge la catarsi depurativa che intraprende il neofita calandosi nella tomba, possiede differenti velocità molecolari, e la mente si esprime per simboli e per meccaniche che l’uomo non è abilitato a concepire, la sua mente razionale non l’accetta non la concepisce. È abituata ai simboli, ai numeri in tanti modi, ma non oltre.
Di qui è la matematica a legiferare nelle espressioni della mentalità astrale-mentale per far configurare una realtà nuova che si intreccia occultamente con quella terrena.
Ci sono umani che vivono in parte nel mondo astrale-mentale, uno stato che permette ad alcuni di prendere coscienza della mentalità di questi piani di esistenza ultraterrena. Ma è uno stato che si svolge perennemente nel buio mentale e nel silenzio ed è qui l’utero dove nasce la Vita.
Questo inconoscibile linguaggio astrale-mentale per l’uomo, rientra nella sfera graalica ed è suo tramite che l’uomo dignificato, è in grado di scoprire gli arcani dell’universo. Egli è come se entrasse nella grotta del calice del Graal camminando sul vuoto, come in alcuni racconti della letteratura medievale graalica.
Non rientra nella razionalità il mio esoterismo, appena spiegato, in cui, come già detto, la mente astrale-mentale si esprime per simboli e per meccaniche, come nel saggio che segue in cui si sviluppa il teorema matematico alla base della misteriosa energia derivante dalla piramide di Cheope.
La barca solare di Cheope
C’è propensione che la piramide di Cheope della piana di Giza d’Egitto, col suo intero complesso, costituisca un ideale modello di una prodigiosa macchina energetica rivolta ad una probabile rigenerazione vitale di natura metafisica. Infatti il suo scopo era di costituire il sacello tombale del faraone Cheope per renderlo immortale, anche se in effetti non si è mai trovato alcuna prova in merito, nel sarcofago della Camera cosiddetta del Re posta in sede della torre dello Zed. Dunque se la piramide è una ipotetica “macchina” deve pur rientrare in una concezione che possa essere formulata in termini matematici e naturalmente essere intravista con l’ausilio di una ipotetica geometria. Oltre a tutto ciò non si può trascurare il fatto che la piramide non è stata mai posta in relazione con una barca trovata in una fossa sul lato sud di essa dagli archeologi nel 1954.
Racchiusa in una camera ermeticamente sigillata, la barca era scomposta in 1224 pezzi, il cui legno si è conservato intatto per più di 4600 anni. In proposito sono state formulate due ipotesi sulla valenza religiosa dell’oltretomba egizio di questa barca: la prima, quella più antica e risalente alla I dinastia, descrive una rinascita stellare del sovrano e del fatto che il suo “ka” sarebbe diventato un “Luminoso” della Duat, come una stella della costellazione di Orione; la seconda espone, invece, il nuovo credo religioso, che indicava l’oltretomba ad occidente, dove ogni giorno il Sole è personificato nel Dio Atum che tramonta. È evidente che i testi delle piramidi risentono della teologia di Ra e del credo che il sovrano, dopo la sua rinascita, avrebbe seguito l’orbita del Sole in processione dietro le barche sacre degli dei2.
Traducendo ora questa simbolica barca solare in una ideale concezione geometrica, relativa ad un’altrettanta ipotesi di natura metafisica, potremmo immaginare che il complesso piramidale siffatto cheopiano, poggia su una base a mo’ di una sorta di barca che viaggia idealmente nel tempo.
A ragione di ciò, dunque, non scandalizza intravedere il complesso piramidale unito ad una parabola geometrica sottostante, così come è stata considerata dal punto di vista della geometria dell’illustr. 2 con la quale immagino delle correlazioni funzionali con le due Camere del Re e della Regina al suo interno.
A sostegno di questa ipotesi, che in effetti non ha riscontri reali in sede della base strutturale, è la presenza in loco di una barca ritenuta del faraone Cheope che, ovviamente costituisce il simbolo per la supposta barca metafisica per viaggiare dopo la sua morte verso la rinascita corporea, secondo la religione del suo tempo, accennata in precedenza.
Di qui, in un lampo ecco disporsi le cose in merito, associate alla ipotetica energia circolante nella piramide (su cui molti studiosi sono concordi), e tutto per merito di una prodigiosa parabola, reale configurazione geometrica della barca osiderea. Ma c’è di più sull’apporto di questa parabola, considerato che la piramide-macchina è “solare” e deve in qualche modo captare le energie solari del dio Ra e convertirle al suo centro focale, in sede della Camera della Regina, naturalmente la dea Iside.
Intanto, con l’illustr. 3 sono mostrati i dati geometrici dell’illustr. 2, utilizzando la concezione del rapporto aureo su cui c’è concordanza:
y² = 2 p x, dove p = 1 (equazione della parabola)
ya = √ [2 / (1 + √5)] = 0,786151377…xa = ya² / 2 = 0,309016994…
phi = 38,17270763…°
180° – 4phi = 27,30916948…°
yi = tang (180° – 4 phi) = 0,516341175…
xi = yi² / 2 = 0,133304104…
d = yR = 0,080615621…
xR = d²/ 2 = 0,003711446…
La luminosità è un requisito fondamentale delle gemme preziose e le loro studiate sfaccettature moltiplicano i giochi di luce scomposta nei suoi colori, cosiddetti dell’iride, all’interno per sprigionarsi in modo sfolgorante all’esterno (illustr. 4).
Nulla allora che meravigli, dunque, vedere la piramide di Cheope come uno speciale cristallo e costatare subito una particolare proprietà dovuta a un ipotetico raggio di luce che interagisce in esso.
Dalle illustr.ni 2 e 3 si può capire di seguito cosa si tratta. Il raggio IP è normale alla parabola e si imbatte di ritorno sulla parete C’B’ riflettendosi in Q della parete opposta C’A’. Prosegue da qui la riflessione luminosa, supposta energetica, in modo verticale fino in fondo sulla parabola in R. Si sa che tutti i raggi verticali confluenti su una parabola si riflettono convergendo nel fuoco relativo, che nel nostro caso è il punto F. Naturalmente si è capito che il punto I di partenza del supposto raggio luminoso è unico in modo che la sua inclinazione riferita alla verticale sia 180° – 4 phi come indicato sulle illustr. 2 e 3. Phi è il semi-angolo al vertice della piramide. Il simbolo di phi è φ.
Nessun commento su questo raggio salvo a vedere ora il raffronto con lo spaccato della piramide di Cheope (illustr. 2), in cui si vedono i vari elementi che vi fanno parte: la tomba del Re e della Regina, la Grande Galleria ed altro.
Ed ecco il fatto meraviglioso che spiega il titolo di questo capitolo: Una parabola per il mistero della Grande Piramide! Due cose in una: il fuoco F della parabola di arco A’OB’, su cui è posta la piramide A’B’C’, coincide con un certo punto della tomba della Regina e il raggio verticale QR della ipotetica luce, all’interno della piramide in questione, coincide con l’asse della tomba del Re.
In merito allo Zed e alla funzione piezoelettrica del sistema dei ranghi di basalto, ritenuti la fonte di energia circolante nella piramide, in relazione al potere che serve per la rigenerazione vitale alla base del potere che vi deriva, mi fa pensare alla spiegazione in che modo le ossa si rigenerano.
Il modo con cui molti organismi viventi usano la piezoelettricità è molto interessante: le ossa agiscono come dei sensori di forza. Applicando una forza, le ossa producono delle cariche elettriche proporzionali alla loro sollecitazione interna. Queste cariche stimolano e causano la crescita di nuovo materiale osseo, rinforzando la robustezza della struttura ossea in quelle zone in cui la deflessione interna è più elevata. Ne risultano strutture con minimo carico specifico e, pertanto, con eccellente rapporto peso-resistenza3.
Un’altra cosa è possibile suggerire come riscontro ideografico fra i geroglifici egizi, con il raggio energetico verticale QR delle illustr. 2 e 3, sopra analizzate. Mi viene di intravederlo nello Scettro o Wзs nella mano del dio dei morti Osiride e di altri dèi egizi, nonché in quella dei faraoni assisi sul trono (illustr. 5).
La cima di questo scettro termina con una sorta di maniglia di traverso particolarmente sagomata che può benissimo riferirsi alla parete della piramide dove il raggio si riflette; mentre la parte terminale è munita di una forcina a due punte che potrebbe riferirsi alla riflessione del raggio energetico.
L’affresco della cappella funeraria di Thutmose III (sec. XV a.C.)
Di altro, è interessante costatare che, osservando gli ideogrammi riportati sull’affresco della cappella funeraria di Thutmose III dell’illustrazione 6, si nota che lo Scettro, oltre a quello impugnato dal faraone, è anche rappresentato (in alto, sullo Scettro del faraone) a fianco dell’ideogramma dello Zed (lo stesso della Camera del Re della Grande Piramide) e da altri segni importanti. Fra questi c’è una sorta di ciotola (presente in 9 esemplari), dal significato comune di cesto, che può benissimo correlarsi con la parabola esibita e così convalidare in cascata il resto delle argomentazioni sostenute sin qui. Un dettaglio importante fra i tanti della nutrita rappresentazione di geroglifici e ideogrammi, è il gonnellino dell’offerente davanti al faraone che ha la chiara foggia della piramide di Cheope. Non solo, ma la fascia pendente dalla cintola coincide con l’asse passante per lo Zed della piramide. In più l’offerente versa dell’acqua in due anfore, come per confermare due cose, un supposto potere duale dello scettro attraverso la relativa forcina terminale e poi la forma parabolica dell’acqua. Di qui la concezione geometrica della parabola, elemento essenziale del presente lavoro sulla piramide-macchina di Cheope.
Il viaggio con la barca solare nella Grande Galleria
La particolare forma della Grande Galleria fa progredire il ragionamento per spiegare la reale funzione della piramide cheopiana. Considerato che l’impianto piramidale costituisca un centro misterico di iniziazione, più che sacello tombale del faraone Cheope, che può essere spiegato con l’ausilio del noto papiro di Ani. Vale l’ipotesi molto accreditata che in realtà la piramide in questione sia preesistita in relazione al regno di Cheope.
Nel partic. dell’illustr. 7, Anubi, dalla testa di sciacallo, pesa il cuore di Ani, e nel partic. dell’illustr. 8, successiva, Ani è davanti al tabernacolo di Osiride per il giudizio finale dello scriba Ani. La prova è superata e Ani viene condotto alla presenza di Osiride, seduto in un tabernacolo a forma di sepoltura.
In queste due illustrazioni è chiaro come si svolge il rituale dell’esame di Ani, colui che è in procinto di essere iniziato ai misteri di Osiride. Perciò immaginando che questo rituale si svolge nella Grande Piramide, il neofita al posto di Ani, dopo essere stato giudicato idoneo all’iniziazione si prepara per un certo “viaggio” che avverrà sulla barca solare, ma da solo. Simbolicamente vediamo appunto nell’illustr. 8, Ani genuflesso su un piccolo piano di acqua (il mercurio filosofale) davanti al tabernacolo di Osiride. In altro modo quest’acqua alchemica si spiega legandosi al noto “lago della verità” della dea Maât del giudizio4.
Nel nostro caso della piramide dell’iniziazione, tutto ciò che è rappresentato simbolicamente in questa fase è quanto si attua nella salita della Grande Galleria.
Di qui il concetto di ascesa e di preparazione all’impatto con la prova finale che avverrà nella Camera del Re. Ecco che si spiega la modulazione del flusso dell’acqua mercuriale determinata dalle serrande, davanti all’entrata della Camera del Re. Il numero delle serrande indica appunto la graduazione del processo di iniziazione.
Questo sta facendo Ani davanti a Osiride, ossia lo vediamo “abbeverarsi” appunto con l’acqua fluente dalle serrande aperte, (illustr. 9) nel caso della Piramide, mentre si serra sempre più il plico della sua memoria del suo “sapere”. Di qui il parallelo al tema della supposta energia elettromagnetica fluente nello Zed, ossia tramite Osiride. Infatti osservandolo da vicino si è colpiti dalla trama del suo corpo che è come un ideale magnete. Nell’insieme ogni cosa è informata al suo orientamento.
In alto all’esterno i 12 serpenti (i mesi dell’anno) rappresenterebbero le linee di forza magnetiche come quelle della Terra concepita similmente ad una geodinamo.
L’illustr. 10 mostra la rappresentazione didattica di magneti elementari in un’asta di ferro raffigurati come aghi di bussola. A destra è il caso di un asta amagnetica; a sinistra l’asta è magnetica come il corpo di Osiride. (Tratto da «Corso di Elettronica», Istituto Svizzero di Tecnica di Luino).
Si capisce che il tabernacolo di Osiride è un modo diverso di rappresentare iconograficamente lo Zed, con la differenza sostanziale che va visto integrato con la concezione della Camera della Regina.
Nel papiro di Ani vediamo appunto alle spalle di Osiride Iside e la sorella, entrambe integrate nella rappresentazione della Camera della Regina.
A questo punto non resta che prefigurare nella Piramide di Cheope il viaggio in questione, cosa che non difficile concepire, anche perché con l’occasione si spiega la ragione della concezione architettonica particolare della Grande Galleria dove si compie il viaggio di ascesa iniziatica. Naturalmente con un modello di barca solare non diversa, ma in proporzione ridotta, da quella di 47 metri di lunghezza di Cheope trovata accanto alla sua piramide di Giza.
L’illustrazione 11 non ha bisogno di commenti eccetto far capire che il “viaggio” iniziatico è concepito per simulare l’altro “viaggio”, il vero che vi corrisponde e che si attua sul piano delle energie eteriche.
Perciò all’acqua, immaginariamente nell’invaso della Grande Galleria in fase iniziale, corrisponde il mercurio filosofale che è “acqua che non bagna le mani”5 Per ragioni di simulazione, la barca perciò è sostenuta da una opportuna incastellatura di legno che è fatta scivolare sulle banchine laterali della Galleria. In questo modo si spiegano anche certe piccole buche a ridosso dei muri a intervalli regolari, fatti apposta per impedire con zeppe alla slitta porta-barca di retrocedere. Per convincerci di ciò che ho appena detto sul processo iniziatico, come concezione non differisce – mettiamo – dal rituale della comunione eucaristica della Santa Messa del Cristianesimo. La mimesi è alla base di tutti i rituali misterici.
Nelle arti mimetiche, vengono comprese in primis la pittura e la scultura che rappresentano la riproduzione visiva e plastica dell’uomo e la realtà mondana in cui egli soggiorna. Ma si capisce che a queste due arti, possono essere incluse anche la letteratura, la fotografia, il cinema, la televisione e la realtà virtuale. Ecco che la mimesi si fa arte di per sé, ovvero imitazione della realtà in cui va compreso «non solamente ciò che appare, bensì anche ciò che non appare pur “essendo”, ciò che è, ma non può ancora per sua natura manifestarsi pur “potendo” apparire. Questo concetto di mimesi non ha il senso di copia più o meno fedele della realtà, quanto di rappresentazione, raffigurazione senza un particolare riferimento all’uguaglianza con la cosa imitata, imitazione quindi, della forma ideale [Cfr. a questo riguardo il testo di Gombrich Arte e Illusione]»6.
Questo modo di interpretare la mimesi, che è riferito alle espressioni delle Belle Arti secondo Gombrich appena citato, può servire egregiamente per orientare la comprensione del tema esoterico in corso di trattazione, che a buon ragione può essere definita mimesi sacrale.
- https://www.indaginiemisteri.it/2017/10/25/la-ricerca-del-santo-graal/ ↩︎
- https://it.wikipedia.org/wiki/Barca_solare_di_Cheope ↩︎
- http://www.hbm-italia.it/custserv/SEURLF/ASP/SFS/ID.813/MM.4,36,34/SFE/techarticles.htm ↩︎
- La Stele dell’Inventario di Giza la “sindone” della Grande Piramide / 5https://www.esonet.it/News-file-article-sid-1539.html ↩︎
- Mare ripurgato e mare ermetico (Le Dimore Filosofali, vol.II, pag.126):
In greco, ermellino si dice ποντικός, parola che deriva da πόυίτος o πόυίτιος, il precipizio, l’abisso, il mare, l’oceano; cioè l’acqua pontica dei filosofi, il nostro mercurio, il mare purgato due volte col suo zolfo, e talvolta semplicemente l’eau de notre mer che dev’esser letto eau de notre mère, cioè l’acqua della materia primitiva e caotica chiamata soggetto dei saggi. I maestri ci insegnano che il loro mercurio secondo, quest’acqua pontica di cui stiamo parlando, è un’acqua permanente, che, contrariamente ai corpi liquidi “non bagna le mani” ed è la loro sorgente che cola nel mare ermetico. Essi dicono che per ottenerla bisogna percuotere tre volte la roccia, per estrarne l’onda pura mescolata all’acqua grossolana e solidificata, in genere raffigurata da blocchi rocciosi emergenti dall’oceano. Il vocabolo πόυίτιος esprime in particolare tutto ciò che vive nel mare. ↩︎ - http://www.mimesis.info/4_2.html ↩︎