Non è la prima volta che incontriamo la pittrice Antonella Spina nella nostra rivista. In passato abbiamo potuto conoscere la sua bellissima “Maddalena Penitente”, opera su commissione che riprendeva un lavoro di De La Tour.
In quest’articolo ammiriamo invece un’opera di diversa fattura: un acrilico su tela che viene dalle più remote regioni dell’anima umana, un’opera ispirata che manifesta l’atto del percorso di conoscenza che la pittrice sta compiendo attraverso l’auto-osservazione di sé stessa, una osservazione che chiaramente si svolge all’interno, così come denota il colore blu e azzurro dello sfondo, così come sono i colori del cielo all’imbrunire, poco prima della buia notte, quando ancora è possibile essere vigili e non in pieno sonno.
Al centro dell’immagine le due figure antropomorfe, ma senza volto e senza vestiti, a denotare l’imparzialità e l’impersonalità degli elementi che compongono il profondo dell’anima. Ciò induce a pensare che, nella visione dell’opera, la pittrice abbia raggiunto uno stato in cui l’ego non esiste più e permane comunque una sorta di presenza che si può definire benissimo come contemplativa, atto del Testimone della Verità di cui abbiamo spesso trattato in questa rivista.
Non è da stupire che si possa raggiungere questo stato, soprattutto per un artista che ha la possibilità di manifestare con il proprio dono ciò che sono le visioni interiori ricevute. Ricordiamo sempre ciò che dice il vangelo di Filippo, ovvero che
La Verità non è venuta nuda al mondo, ma in Simboli ed Immagini
Sono proprio queste immagini che si possono scorgere nell’atto della contemplazione, immagini che indicano il proprio essere interiore, il suo stato ed il suo operato.
Il fatto che siano presenti due figure ci riporta alla dualità dell’essere: uno di luce e l’altro d’ombra.
Ed è una dualità opposta e contraria, poiché nella parte più nascosta di noi, tutto è percepito proprio così.
Si vede tuttavia che nella figura in ombra, dal petto di questa si promana una luce, segno che l’atto contemplativo sta portando alla conoscenza di questa parte nascosta, dell’Amico Interiore che ognuno di noi ha e che bisogna scorgere per essere completi e manifestare sé stessi definitivamente in ciò che C.G. Jung definiva “individualizzazione”.
È risaputo infatti, in ambito iniziatico, che solo attraverso l’unione delle due nature dell’uomo, questi può ambire alla propria reintegrazione nell’Eden.
La posizione delle figure, inoltre, è una delle posizioni più facilmente assumibili nell’atto meditativo e contemplativo, cosa che dunque ci riporta nuovamente a intraprendere il percorso iniziatico in modo operativo e non speculativo, affinché si possa giungere alla Gnosi.
È chiaro che l’opera indica uno stato di sofferenza, ma è una sofferenza interiore che porta l’uomo a varcare la soglia dell’invisibile, così come in molte Organizzazioni iniziatiche la figura dello psicopompo rappresenta nel suo compito di accompagnare il richiedente ad essere ammesso nel Tempio. La sofferenza dunque è positiva in questo caso, poiché ci permette di scoprire in noi una forza che ci spinge a superare l’oltre, a superare il velo che ci impedisce di scorgere la Verità.