Dopo che ebbe foggiato dai lombi di Adam
il Creato, Allah tra i lucifori palmi
al destro ebbe l’argilloso limo
permasto tra le fiamme delle sue fogge.
Col melmoso fango l’Architetto
il Ganna all’Orbe cosmico innalzò,
con aulenti pomari e lucifere Idee,
con vergini huri e ninfe redolenti
di canfora, di muschio, e di balsami.
Ma ancor l’argilla eccedeva la misura,
ancor il limo d’amaranto
alla destra mano di Allah tedofora
i viscosi nodi innalzava alle pompe magne,
sì che Dio con quell’argilla eresse
come ultima creatura una palma.
La palma, arbore celeste
a cui sovente il procreatore
della stirpe umana Adam porgeva il labro,
confondendo l’umida porpora
della bocca col turgido legno,
era cuna di bagni per i pianti
della prole increata nei visceri
del profattore umano alla pianta propinquo.
Ma tosto Adam il tergo volse al lume arboreo,
delle huri lambendo le tumide mammelle,
fin quando rivolto all’albero celeste
la palma del Ganna vide in Eva conversa,
sua consorte preeterna
e suo apogeo, sua olimpia coscienza
donde poi al concluso confinato afflato
del Tempo nostro mortale,
il progenitore porgerà il suo animo querulo,
riprocreando la sua progenie
nell’Essere, nell’Essere invero
o aganippea Musa nell’En Sof,
vergineo grembo dell’immanifestato Allah.