Ho sempre creduto di dovere dimostrare qualcosa nella vita, come se fossi in perenne esame nei confronti del mondo e dei miei simili, come se da me dovesse dipendere chissà quale imprevisto risvolto di chissà quale caso o avvenimento. Ho capito però con il tempo che, in realtà, la gente da me si aspettava solamente ciò che era in grado di capire. Nulla di più.
Non esiste alcuna possibilità di far comprendere a chi ci sta d’innanzi qualcosa che il suo “alfabeto interiore” non riesca a tradurre. Il nostro necessario bisogno di perfezione e la nostra costante e continua abitudine a rincorrere le cose migliori, ci ha fatto scambiare la boria per virtù, la fama per virtù, la gloria per virtù. Come se un comportamento virtuoso dovesse, per forza di cose, passare per queste forme di “vizio” che altro non sono che mistificazioni della realtà e della vita.
Da qualche parte è scritto:
Edificare templi alla virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio
Una frase che spesso si legge e si pronuncia con una superficialità disarmante, come se fosse l’ultima suppellettile del soggiorno di casa. Come se “scavare” fosse una operazione semplice e priva di fatica e come se lo fosse altrettanto l’edificazione di qualcosa: un pollaio, una casa, un santuario… un Tempio!
In realtà, tanto più le cose ci appaiono scontante, tanto più si dimostrano complesse e dolorose.
Ecco allora il ricorso alle Virtù. Ma cosa sono?
Il Corano (Sura XXI, 18) afferma:
Colpiremo la vanità per mezzo della Verità,
e questa l’annienterà
Secondo il Libro Sacro dell’Islam, siamo chiamati a cessare di essere “individui” per divenire “Verità”. Per i mistici Sufi, le virtù altro non sono che orientamenti umani che si aprono su verità universali. Stiamo allora parlando di qualcosa che non viene dall’esterno, che non è una meta o uno “stato dell’essere”, ma stiamo trattando qualcosa di profondamente umano, che ci appartiene, che possiamo sperimentare senza evocare conoscenze sovrarazionali o metafisiche. Ciò che dunque può elevarci e che è alla nostra portata è il lavoro, la pratica, la costanza e l’esercizio. Le Virtù sono “cose” umane, sono “orientamenti” per l’uomo che, in questo testo essenzialmente speculativo, è bene soltanto riassumere in quelle cardinali della Forza, della Giustizia, della Temperanza e della Prudenza.
La Forza di proporre, di imporre s’è necessario, di cambiare le cose quando tutto è stantio e necessita di essere rinnovato. La Forza di reggere pesi immani nell’attesa che il tutto si compia e che il risultato sperato arrivi. E allora la fatica, il coraggio e la costanza sono la manifestazione più reale di questa virtù. Il coraggio di scegliere senza mai più voltarsi indietro, la fatica di ricominciare a camminare e di ripercorrere vie e luoghi come lo si è fatto nel passato.
La Giustizia, virtù che non presuppone alcuna forma di misericordia, nessuno sconto per gli affetti più intimi, nessuna forma di buonsenso dovuto alle circostanze. L’uomo giusto condanna ciò che è male e garantisce ciò che è bene senza alcuna forma di compromesso. Condanna e assolve ed è in questa scelta senza ritorno che la Giustizia mette le proprie radici. La Giustizia, fra tutte le virtù, è quella che reca più sofferenza soprattutto in chi la pratica. È il momento nel quale la scelta si scontra con i sentimenti, gli affetti, le convenienze. Essere giusti significa andare anche contro se stessi, violentare il proprio cuore e le proprie esigenze. Chi è “giusto” quasi mai è felice di esserlo e, probabilmente, felice non lo è affatto.
La Temperanza: in musica Bach è noto per il suo lavoro sul temperamento equabile. Equità tra le diverse altezze, equilibrio, taratura tra i diversi suoni, proporzionalità tra le diverse tonalità. Se ciascuno di voi ascoltasse fisicamente la proporzione che collega e lega i suoni del nostro sistema musicale, comprenderebbe chiaramente il significato della Temperanza: mai troppo e mai troppo poco, giusta misura tra gli elementi che si fondono in una sorta di Athanor alchemico. Non importa quanto elevata sia la temperatura al suo interno, la cosa che più conta è la proporzione ottimale degli elementi che in esso si scaldano e fondono. E allora capiremmo come questa Temperanza non ha nulla a che vedere con l’equilibrio sociale, con il “modus operandi” di taluna politica che vede nell’equilibrio dei poteri la soluzione alle controversie. La Temperanza si trasmette con l’esempio nell’educazione giornaliera dei figli, nell’attenzione agli eccessi del mondo e degli uomini e nella cura ai difetti e ai disagi degli stessi.
Osservate il disagio delle vostre compagne allora… e “temperatelo”, osservate l’eccesso di zelo del vostro orgoglio dirompente e “temperatelo”. Temperate tutto come se fosse la punta di una matita che dovrà solo tracciare linee precise e raffinate. Siate una punta di matita, siate “temperati”.
La Prudenza: avete già reso la punta della vostra matita così sottile da essere tanto precisa, siate adesso attenti a tracciare le linee, pensate prima di disegnare, preventivate ogni tratto, prevedete le sbavature e fate onore al ritratto finale che avete in mente. E così pure pensate prima di dire qualcosa e chiedetevi prima che sia troppo tardi se quell’azione che vi apprestate a compiere giovi davvero a qualcuno e che, soprattutto, non lo danneggi e lo ferisca.
Virtuoso è l’uomo che ha la forza di pensare a tutto questo, la caparbietà e la volontà di ritornare a quella condizione primordiale di essere incontaminato. Le Virtù non sono, dunque, un dono, ma un esercizio al quale è chiamato a sottomettersi l’Uomo di Desiderio che vuole incamminarsi tra vie del perfezionamento umano e spirituale. Chi vi scrive si nutre ancora di imperfezioni e, fra tutte le virtù che esistono, possiede forse solo quella della sincerità, ma questa non basta né basterà. Che l’anno che inizia possa essere una comune crescita, un mutuo esercitarsi e correggersi, un condiviso percorso verso e attraverso queste virtù per annientare la vanità con quella Verità che c’è, esiste, ma stenta a mostrarsi se non agli uomini… virtuosi.